Polline

Il polline è una struttura microscopica alla quale le piante superiori affidano il trasporto delle cellule germinali maschili. Appare come un materiale pulverulento, diversamente colorato, ben visibile sulle antere di alcuni fiori di grandi dimensioni, come gigli o papaveri. Le piante, immobilizzate dalle loro stesse radici, necessitano di particolari stratagemmi perché l’incontro riproduttivo tra due individui possa realizzarsi. Così il trasporto del polline avviene grazie alla collaborazione con una serie di alleati, diversi per ogni tipo di pianta. Alcune si affidano al vento, che non chiede niente in cambio, ma è anche un postino decisamente poco preciso. Altre hanno stretto accordi, che sono andati perfezionandosi e diventando via via più specifici nel corso dell’evoluzione, con particolari insetti o altri animali.polline-ape-fiore-12 L’insetto trasporta il polline da un fiore all’altro perché volare di fiore in fiore ha, per lui, un preciso scopo: in una buona pane dei casi, la ricerca del cibo. Le api, in particolare, sui fiori da loro frequentati trovano nettare, fonte di sostanze zuccherine, e polline, ricco di sostanze indispensabili all’accrescimento. All’interno dell’alveare la maggior parte del polline raccolto viene consumato dalle giovani operaie che, grazie a questo apporto proteico, possono a loro volta produrre, per secrezione ghiandolare, gli alimenti destinati alle larve e alla regina. Il polline viene raccolto grazie ad attrezzi particolari dei quali le api operaie sono dotate. Grazie alla peluria che le ricopre e a spazzole di peli rigidi che hanno sulle zampe, le operaie sono in grado di recuperare la polvere di polline che le ha ricoperte durante il lavoro e di ridurla in masserelle che poi accumulano e trasportano nelle “cestella del polline”, costituite da lunghe setole arcuate situate nel 30 paio di zampe. I singoli granuli pollinici hanno dimensioni variabili da pochi micron a circa 0,1 mm; sono dotati di una parete esterna costituita da una sostanza resistentissima (10sporopollenina) che ne protegge efficacemente il contenuto. Questa resistenza particolare ne permette la conservazione anche in certi sedimenti geologici, allo stato di scheletro o polline fossilizzato. Questo, insieme al fatto che i granuli pollinici appartenenti a specie diverse differiscono per l’aspetto (10forma, dimensioni, aperture, ornamentazione) e sono per questo riconoscibili al microscopio, ha permesso lo sviluppo di una scienza, la palinologia, che trova applicazioni in diversi campi quali la geologia, l’archeologia, la climatologia, la criminologia, l’allergologia, la merceologia, nonché lo studio dei rapporti tra insetti e piante. Nonostante questa protezione indistruttibile, il granulo pollinico ha tuttavia alcuni punti deboli. La struttura esterna presenta infatti punti assottigliati, detti aperture, che permettono la germinazione del polline nel caso il granulo dovesse arrivare alla sua destinazione ideale, sullo stimma fioraie. Questi stessi punti di rottura permettono agli animali che fanno uso alimentare di polline di digerirne efficacemente il contenuto, anche se i succhi digestivi non riescono comunque a distruggerne la parete esterna.

 

UNA RISORSA POCO SFRUTTATA

 

Il polline portato all’interno dell’alveare viene stoccato nelle cellette dei favi dove subisce un processo di conservazione paragonabile a quello del foraggio insilato (10fermentazione lattica). Sembra che questo passaggio ne renda la composizione più idonea all’alimentazione delle api; in questa forma il polline non è estraibile dai favi in modo economicamente interessante. La produzione commerciale si basa sulla cattura del polline, prima di questa trasformazione mediante particolari dispositivi (10trappole) posti all’entrata dell’alveare. Nell’ape che rientra carica, le masserelle raccolte debordano dalla sagoma lateralmente: costringendo l’ape a passare attraverso una griglia con fori di diametro appositamente calibrato, le pallottole vengono automaticamente scaricate e finiscono in un cassetto sottostante. api-con-polline1Non tutto il polline viene sottratto in questo modo: si calcola che il rendimento ideale delle trappole sia del 10-15%. La trappola costituisce comunque un ostacolo all’attività dell’alveare, non tanto per il materiale che sottrae, quanto piuttosto per il disturbo ai movimenti di entrata e di uscita dall’alveare. Essa viene per questo utilizzata solo nei periodi in cui la raccolta può dare migliori rendimenti. Il polline, raccolto giornalmente, può a questo punto essere essiccato a temperatura moderata (10essiccatoi ad aria calda), cernito e confezionato in recipienti ermetici, eventualmente sottovuoto. In questo caso però si verifica una grossa perdita di sostanze attive. Le api  infatti sottopongono il polline raccolto all’azione di tre lieviti e di un numero che va da cinque a otto fermenti lattici, perché possa essere conservato alla temperatura di 36° dell’alveare e al livello di umidità del 95% richiesto per lo schiudersi delle uova e per lo sviluppo della covata. Questa flora viene invece perfettamente conservata con la congelazione.
Una produzione significativa di polline in Italia ha cominciato a prendere piede solo recentemente entrando in un mercato finora coperto soprattutto da prodotto di importazione (10Spagna e paesi dell’Europa dell’est).

 

SCONSIGLIATO AGLI ALLERGICI
I pollini di diverse piante differiscono notevolmente per composizione e quindi per valore nutritivo. Tutti i pollini contengono le diverse classi di sostanze alimentari (10protidi, glucidi, lipidi, sali minerali, vitamine) in proporzione tale da soddisfare le necessità delle api. Riguardo al suo valore alimentare per l’uomo le opinioni sono contrastanti: confrontando la sua composizione con quella degli altri alimenti, alcuni autori (10Dillon e Louveaux, 1986) concludono che il polline non raggiunge il valore del lievito di birra e neppure dei legumi.cassettino-polline1 D’altra parte le ricerche di Chauvin (101968), dimostrerebbero che il polline contiene sostanze in grado di rendere più efficiente l’utilizzazione dei principi alimentari. Il polline sarebbe quindi consigliabile soprattutto come alimento ricostituente,in casi di anoressia, deperimento organico e stress. Sono spesso ricordati anche gli effetti sulle funzioni digestive: il polline avrebbe un effetto regolatore, portando a miglioramento sia i casi di stitichezza che di diarrea. Un particolare relativo all’assunzione umana riguarda le allergie, in quanto la sensibilizzazione nei confronti del polline è piuttosto alta. Si sente molto spesso dire che il polline raccolto dalle api non conterrebbe le specie più comunemente allergeniche: questo è vero solo in parte e comunque le eccezioni alla regola sono tante. Il rischio di reazioni gravi in occasione dell’assunzione per via orale di pollini allergizzanti è tale da sconsigliarne l’uso alle persone allergiche.

Cera

Diversamente da quanto accade per altri tipi di imenotteri che costruiscono i loro nidi con materiali raccolti in natura (10per esempio, sostanze cellulosiche o fango), le api provvedono loro stesse a produrre la cera con la quale edificano le strutture interne dell’alveare, i favi.cera1La cera viene prodotta da ghiandole ciripare localizzate nella pane ventrale dell’addome delle api operaie. Appena secreta si presenta sotto forma di minuscole scagliette incolori. Le operaie costruttrici provvedono a plasmare con le mandibole il materiale per arrivare alla forma voluta. Il lavoro di costruzione dei favi è regolato da meccanismi complessi, lo studio dei quali è oltremodo interessante. In termini di economia metabolica la secrezione di cera è un processo dispendioso: per ogni grammo di cera prodotto ne sono consumati 7-10 di miele.cera2

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La cera è un materiale dalle caratteristiche ideali per l’uso che deve fare: è solida ma diventa malleabile e plasmabile a temperatura attorno a 35°C (10per poi fondere completamente a 62-65°C).

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E’ una sostanza chimicamente stabile, resiste all’idrolisi e all’ossidazione e non si scioglie in acqua. Resiste agli acidi e agli enzimi digestivi della quasi totalità degli animali (10escluse le larve delle tarme della cera e alcuni uccelli). cera3Dal punto di vista chimico è costituita da una miscela complessa di idrocarburi, esteri e acidi grassi. Per completare la sua descrizione dal punto di vista chimico-fisico, si può dire che non si scioglie in alcol a freddo, ma lo fa in alcol bollente e in solventi quali cloroformio, solfuro di carbonio, essenza di trementina e benzolo.

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Quando è fusa si miscela con le sostanze grasse. Può essere saponificata ed è quindi possibile eliminare le incrostazioni di cera con soda caustica bollente. Ha un peso specifico inferiore all’acqua e per questo vi galleggia sopra.
Fin dai tempi più remoti la raccolta di miele è stata accompagnata da un’analoga raccolta di cera. Per migliaia di anni la cera d’api è stato l’unico materiale del suo genere disponibile ed è stata per questo utilizzata in centinaia di modi diversi. La tecnica moderna, offrendo sostanze con analoghe caratteristiche e simili possibilità d’impiego, ha oggi ristretto enormemente l’uso della cera d’api, limitandolo ai soli casi in cui è veramente insostituibile. Ancora oggi presso le culture che adottano sistemi di apicoltura tradizionale o semi-razionale l’estrazione di miele, per pressatura o fusione dei favi, dà, come sottoprodotto, una discreta quantità di cera. In alcune situazioni questa viene utilizzata in loco per gli usi tradizionali; in altre viene indirizzata all’esportazione verso paesi industrializzati. Nel nostro sistema di apicoltura la produzione di cera, quale sottoprodotto, seppur di valore, dell’estrazione di miele, riguarda gli opercoli che vengono tagliati via dai favi di miele prima di procedere all’estrazione con lo smelatore centrifugo. Questo tipo di produzione è stimata attorno all’1-1,5% del peso del miele prodotto, cioè 1-1,5 kg di cera per ogni quintale di miele. Un altro mezzo chilo per alveare può essere ottenuto dal recupero della cera contenuta nei favi che vengono periodicamente rinnovati. Sia nel caso della cera d’opercolo che in quello del recupero dei vecchi favi è necessario un processo di estrazione che permetta la separazione della cera dal miele o dal resto delle sostanze che compongono il favo (10bozzoli e residui dell’allevamento delle larve). Questi processi si basano sulla fusione della cera a caldo e sulla sua immiscibilità con l’acqua. Uno dei sistemi più razionali e usati nei climi caldi è la sceratrice solare, una cassa vetrata nella quale la cera fonde, per azione del riscaldamento solare, e cola in una vaschetta, dove si stratifica sui residui più densi (10miele). Esistono attrezzature appositamente costruite per la fusione ed estrazione della cera (10caldaie a vapore); molti apicoltori utilizzano invece materiale non specifico, che però risponde ugualmente bene all’uso.
Le tecniche adottate devono tener conto di alcuni particolari, fondamentali per la buona qualità del materiale estratto. La cera non va mai fusa su fuoco diretto: oltre al rischio di incendio, l’elevata temperatura che si sviluppa ne determina un irreparabile danneggiamento. Con un sistema di bagnomana o aggiungendo acqua nello stesso recipiente m cui si fonde la cera, il calore della fiamma viene assorbito e riceduto m modo graduale. I recipienti non devono essere di ferro, rame o zinco in quanto reagirebbero negativamente con la cera fusa. L’acqua che entra in contatto con la cera deve essere il più possibile priva di sali per evitare la saponificazione.candele-cera Il raffreddamento deve avvenire nel modo più lento possibile, per dar tempo alla cera di decantare e separarsi completamente dalle impurità.pani ceraLa quasi totalità della cera cosi prodotta dagli apicoltori italiani finisce nuovamente negli alveari sotto forma di fogli cerei.

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La qualità del foglio cereo è un particolare importante per la produttività dell’alveare: come primo requisito deve essere di pura cera d’api.
Cera d’api d’importazione copre le richieste nel campo cosmetico, farmaceutico e dei lucidi per mobili, pavimenti e pellami. Soprattutto in campo cosmetico e dermatologico l’impiego della cera d’api è largamente diffuso. Basti pensare al “cerato di Galeno”, un’antichissima formula di pomata protettiva per la pelle a base di cera d’api e acqua di rose, ancora oggi riportata in farmacopee internazionali. Il largo uso nei settori sopra menzionati va collegato alla capacità che la cera d’api ha di formare un film protettivo ma non occlusivo sulla superficie della pelle, oltre che alle sue doti di alta stabilità.

Pappa reale

CHE COS’È LA PAPPA REALE?
pappa-reale-e-larve-giovani

È prodotta esclusivamente dalle api nutrici, in età compresa tra il 5° ed il 14° giorno dalla loro nascita, come secrezione delle GHIANDOLE IPOFARINGEE e MANDIBOLARI, e costituisce il nutrimento di tutte le larve d’ape durante i primi tre giorni di vita. Questo particolare “trattamento di favore”, è prolungato per l’intero periodo larvale ed, in parte, per tutta la vita in forma d’insetto, solo alla popolazione destinata a diventare ape regina.

 

La nutrizione con pappa reale costituisce il fattore determinante della trasformazione di una larva di ape operaia in “ape regina”:pappa-reale-in-celle-reali permette lo svilupparsi dell’apparato che produce le uova e ne prolunga la sua vita! Sono queste due caratteristiche che, negli ultimi anni, hanno fatto attribuire a questa sostanza un’efficacia particolare anche per l’uomo!
Ad oggi, comunque, la composizione della pappa reale è risultata abbastanza insolita ed unica per i sistemi naturali.

È un cocktail di bio-catalizzatori contenuti in una miscela di componenti biologici ordinari: si tratta di un insieme LIPIDO-GLUCIDO-PROTEICO.

Non si conosce, ad oggi, ogni segreto nella sua composizione, ma sicuramente contiene:
Acidi grassi: ne contiene circa 31 (10saturi ed insaturi). Il 10-HDA è forse il più importante.

È un acido grasso insaturo (10Acido trans-10 idrossi-D2-decenoico) che esiste unicamente nella pappa reale. Altri sono stati individuati, ma restano ancora sconosciuti.

Zuccheri: gli zuccheri totali contenuti nella pappa reale sono così scomponibili:
glucosio + fruttosio dal 33% al 43%, saccarosio dallo 0% al 6%, maltosio dallo 0,4% al 1,4%
Oligoelementi: sono stati individuati al suo interno 5 elementi minerali: calcio, potassio, sodio, magnesio, zinco.
Contiene inoltre quasi tutte le vitamine conosciute, tracce di Ormoni, Enzimi e fattori colinergici. Il suo PH è compreso fra il 3,5-4,5. pappa-estrazione

 

Luoghi e Persone

Le api estraggono il nettare, che è l’essenza di un ambiente floreale in parte originario, in parte modificato dall’uomo: ogni miele è quindi una sorta di “ritratto gustativo” di un ambiente particolare, che ne include natura e storia e che si manifesta attraverso le differenze e le sfumature di profumi e di sapori.
Il lavoro dell’uomo è presente sia nella forma più generale (10le sue scelte di come insediarsi in un territorio), sia nella forma più particolare, lo stile di raccolta del miele, la scelta di valorizzare certe specifiche fioriture piuttosto che, invece, un insieme di fioriture che racchiude uno o più momenti del ciclo stagionale.
Un miele può provenire da favi di api selvatiche sospesi, nelle foreste del sud dell’India, a rupi alte anche 90 metri, dove viene prelevato con rischiose arrampicate su scale di corda; può provenire dai nidi delle api negli anfratti di alte conifere del Bashkortostan, raggiunti scalando l’albero; può provenire da tronchi cavi o rotoli di corteccia appesi agli alberi di una foresta tropicale; può provenire da arnie moderne, ma collocate in ambienti diversissimi: una spiaggia tirrenica dove gli aromi saturano l’aria, una valle alpina coperta di abeti, giardini, viali, cimiteri di una città come Londra.
Il miele ci parla dunque, oltre che di api, di terre e di persone: terre che possono anche cambiare di patrimonio floreale al passo con  le scelte dell’uomo, persone che sono andate inventando e reinventando il mestiere di apicoltore in forme sempre nuove, ogni volta adattandolo a esigenze insieme di scambio con l’ambiente, di sopravvivenza e di filosofia di vita.

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I colori dell’Apicoltura – GLI INCONTRI DI “TERRA MADRE” 2008 – Volti di ambasciatori del miele da tutto il mondo

Sport e Salute

Il miele è il primo dolcificante conosciuto dall’uomo e fin dalla notte dei tempi è stato considerato una sostanza con proprietà non solo nutritive ma anche terapeutiche. Le sue innumerevoli virtù sono state evidenziate in tutte le culture e troviamo infinite indicazioni del suo utilizzo sia nei testi di medicina che nei ricettari di ogni periodo.
Nell’epoca moderna la sua fama ha subito alterne vicissitudini , passando in subordine rispetto ad altre sostanze più “raffinate”. Fin dal Medioevo l’arrivo e poi la coltivazione della canna da zucchero introdotta dagli arabi e della barbabietola da zucchero successivamente,ha portato alla sua sostituzione come dolcificante nelle ricette delle cucine dei ricchi dapprima e successivamente su tutte le tavole.
Le sue caratteristiche terapeutiche infine sono state in qualche misura ridefinite dalla scienza ufficiale che non lo considera un farmaco ma un alimento a prevalenza glucidica con aspetti nutraceutici interessanti.
Vediamo in sintesi le sue caratteristiche:è un prodotto zuccherino ad elevato potere energetico ma soprattutto di rapida e facile assimilazione. È’ composto prevalentemente da 2 zuccheri semplici, il fruttosio ed il glucosio associati a piccole quantità di altri zuccheri, acidi organici, sali minerali, enzimi ed aromi.
Il glucosio entra direttamente in circolo e viene utilizzato immediatamente mentre il fruttosio è consumato più lentamente , in quanto viene metabolizzato nel fegato per essere trasformato in glucosio in tempi successivi. E’ l ’apporto energetico immediato e senza appesantimento digestivo il grande vantaggio che lo rende così importante per lo sportivo , prima dello sforzo fisico o di un’allenamento .Per lo stesso motivo e grazie anche alla presenza di altre sostanza è indicato sia in geriatria che nella crescita e nell’età scolare. Negli ultimi anni si è scoperto che il miele migliora la tolleranza del latte vaccino.
Altre caratteristiche ,dovute soprattutto alla presenza di fruttosio , sono il maggior potere dolcificante (10quindi minor quantità di zucchero da assumere per ottenere lo stesso effetto),le proprietà emollienti ed umettanti utili sia a livello della bocca che dello stomaco e dell’intestino e un’attività blandamente lassativa. Agisce per questo favorevolmente nei disturbi dell’apparato circolatorio, digestivo e del fegato e favorisce l’assimilazione del calcio. Ma la attività più interessante è quella antibatterica che è presente nel miele, grazie alla concentrazione zuccherina ed al suo ph acido. Nel miele in soluzione acquosa la presenza dell’enzima glucoso ossidasi in diluizione produce acqua ossigenata ed acido gluconico. L’acqua ossigenata e la presenza di altre sostanze come i polifenoli contribuiscono all’attività antibatterica ed antibiotica del miele che spiega la sua efficacia nel mal di gola, malattie da raffreddamento e la sua validità per uso esterno per la risoluzione di piaghe e ferite ,così come la sua efficacia nella cosmesi.
Spesso vengono associate ai mieli uniflorali le proprietà officinali delle piante su cui le api hanno raccolto il nettare. Non esiste in realtà una correlazione scientificamente stimabile fra i due aspetti ;un dato analitico provato è la presenza maggiore nei mieli di melata di sali minerali, mentre la presenza di  altre sostanze, pur plausibile ,come nel caso di oli essenziali nel miele di labiate,non può essere valutato quantitativamente. E’ consigliabile quindi consumare il miele per tutti i suoi ottimi pregi nutrizionali , esplorando con curiosità tutto l’universo aromatico che le varie fioriture ci propongono. E’ importante utilizzare il prodotto fresco (10non superare i 2 anni di età) e consumarlo in tempi abbastanza brevi per evitare la perdita di aromi e delle componenti biologiche.

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Un articolo di approfondimento è Il miele e lo sport di Renzo Barbattini e Anna Gloria Sabatini tratto dal Notiziario ERSA (101) 2007.

Analisi sensoriale

L’analisi di un alimento ha come finalità quella di raccogliere informazioni sul prodotto: Nel caso di prodotti alimentari destinati alla vendita le analisi servono alla tutela sanitaria e commerciale del consumatore. Nel caso del miele disponiamo di tre grandi categorie di sistemi analitici: le analisi fisico-chimiche, quelle organolettiche e quelle melissopalinologiche. Le analisi microbiologiche, che rivestono un’importanza fondamentale nella valutazione di quasi tutti gli alimenti rapidamente deperibili o che impiegano ingredienti che possono veicolare microrganismi patogeni, non vengono quasi mai impiegate per il miele, in quanto per questo prodotto praticamente non sussistono rischi. L’unica alterazione microbiologica che il miele può subire, la fermentazione, viene più spesso valutata con l’analisi organolettica che con quella microbiologica.

Analisi mieleLe analisi fisico-chimiche

Un’analisi fisico-chimica completa del miele significa mettere in evidenza e dosare certe sostanze, o gruppi di sostanze, certi indici di composizione o certi indici fisici, che hanno un significato ben preciso in relazione alle domande che ci si pone. Così, per esempio, delle sostanze minerali presenti nel miele, non si misurano abitualmente i singoli sali (10potassio, cloro, sodio, calcio, magnesio, ferro, rame ecc.), ma se ne stima la quantità totale, attraverso il dosaggio del residuo dopo incenerimento (10ceneri) o la misura della conducibilità elettrica: questo dato è in relazione con la genuinità del miele (10in quanto un prodotto fraudolento ottenuto con aggiunta di melassa o di zucchero invertito chimicamente avrebbe dei valori anomali) e con l’origine botanica del prodotto (10per esempio i mieli di robinia e di rododendro, e in genere i mieli chiari, hanno valori bassi di ceneri e i mieli di melata, e quelli scuri in genere, hanno valori elevati).

Le analisi melissopalinologiche

La base dell’analisi pollinica (10o melissopalinologica o microscopica) sta nel fatto che i granuli pollinici delle diverse specie botaniche sono riconoscibili all’osservazione microscopica, così come è possibile risalire a una pianta dal suo seme. Il miele contiene sempre granuli pollinici, in quanto questi possono “contaminare” il nettare nel momento in cui l’ape lo raccoglie. E’ quindi possibile, dall’osservazione del polline contenuto nel miele, opportunamente recuperato e montato, risalire all’origine botanica del miele. L’analisi pollinica viene usata anche per la determinazione dell’origine geografica di un miele: si basa sul fatto che ogni zona presenta una vegetazione caratteristica, che si riflette sullo spettro pollinico del miele.

Analisi mieleL’analisi organolettica

L’analisi organolettica (10o sensoriale) consiste nel valutare un prodotto attraverso i sensi: l’aspetto, l’odore, il sapore e le caratteristiche tattili di un miele possono fornire informazioni utili all’individuazione delle frodi, alla determinazione dell’origine, allo stato di conservazione, alla qualità in generale. Di regola l’analisi sensoriale viene usata a supporto delle altre analisi, soprattutto a causa della natura di questo tipo del tutto particolare di valutazione: infatti se viene effettuata da un solo operatore, in condizioni non perfettamente standardizzate, pur fornendo utili indicazioni, non permette di avere risultati inconfutabili. Soprattutto il melissopalinologo che debba dare un giudizio sull’origine botanica del miele usa sempre il supporto dell’analisi organolettica per indirizzare correttamente la propria interpretazione dello spettro pollinico. Per alcuni aspetti qualitativi è inoltre l’unico sistema possibile per raccogliere informazioni: per esempio sulla presenza di eventuali odori o sapori estranei o sulla gradevolezza o meno del prodotto. Anche l’analisi organolettica richiede una notevole esperienza ma, a differenza degli altri tipi di analisi, questa non è strettamente legata al laboratorio di analisi, ma può essere acquisita anche da figure professionali diverse (10apicoltori, responsabili acquisti delle catene di distribuzione) e ha quindi una grande importanza pratica. Per questo tipo di analisi “di campo” sono necessari solo un minimo di sensibilità olfatto-gustativa e un metodo di lavoro che può essere appreso nei corsi appositamente organizzati dall’Albo nazionale degli esperti in analisi sensoriale del miele.

Cera

Diversamente da quanto accade per altri tipi di imenotteri che costruiscono i loro nidi con materiali raccolti in natura (10per esempio, sostanze cellulosiche o fango), le api provvedono loro stesse a produrre la cera con la quale edificano le strutture interne dell’alveare, i favi.cera1La cera viene prodotta da ghiandole ciripare localizzate nella pane ventrale dell’addome delle api operaie. Appena secreta si presenta sotto forma di minuscole scagliette incolori. Le operaie costruttrici provvedono a plasmare con le mandibole il materiale per arrivare alla forma voluta. Il lavoro di costruzione dei favi è regolato da meccanismi complessi, lo studio dei quali è oltremodo interessante. In termini di economia metabolica la secrezione di cera è un processo dispendioso: per ogni grammo di cera prodotto ne sono consumati 7-10 di miele.cera2

 

La cera è un materiale dalle caratteristiche ideali per l’uso che deve fare: è solida ma diventa malleabile e plasmabile a temperatura attorno a 35°C (10per poi fondere completamente a 62-65°C).

 

È una sostanza chimicamente stabile, resiste all’idrolisi e all’ossidazione e non si scioglie in acqua. Resiste agli acidi e agli enzimi digestivi della quasi totalità degli animali (10escluse le larve delle tarme della cera e alcuni uccelli). cera3Dal punto di vista chimico è costituita da una miscela complessa di idrocarburi, esteri e acidi grassi. Per completare la sua descrizione dal punto di vista chimico-fisico, si può dire che non si scioglie in alcol a freddo, ma lo fa in alcol bollente e in solventi quali cloroformio, solfuro di carbonio, essenza di trementina e benzolo.

 

Quando è fusa si miscela con le sostanze grasse. Può essere saponificata ed è quindi possibile eliminare le incrostazioni di cera con soda caustica bollente. Ha un peso specifico inferiore all’acqua e per questo vi galleggia sopra.
Fin dai tempi più remoti la raccolta di miele è stata accompagnata da un’analoga raccolta di cera. Per migliaia di anni la cera d’api è stato l’unico materiale del suo genere disponibile ed è stata per questo utilizzata in centinaia di modi diversi. La tecnica moderna, offrendo sostanze con analoghe caratteristiche e simili possibilità d’impiego, ha oggi ristretto enormemente l’uso della cera d’api, limitandolo ai soli casi in cui è veramente insostituibile. Ancora oggi presso le culture che adottano sistemi di apicoltura tradizionale o semi-razionale l’estrazione di miele, per pressatura o fusione dei favi, dà, come sottoprodotto, una discreta quantità di cera. In alcune situazioni questa viene utilizzata in loco per gli usi tradizionali; in altre viene indirizzata all’esportazione verso paesi industrializzati. Nel nostro sistema di apicoltura la produzione di cera, quale sottoprodotto, seppur di valore, dell’estrazione di miele, riguarda gli opercoli che vengono tagliati via dai favi di miele prima di procedere all’estrazione con lo smelatore centrifugo. Questo tipo di produzione è stimata attorno all’1-1,5% del peso del miele prodotto, cioè 1-1,5 kg di cera per ogni quintale di miele. Un altro mezzo chilo per alveare può essere ottenuto dal recupero della cera contenuta nei favi che vengono periodicamente rinnovati. Sia nel caso della cera d’opercolo che in quello del recupero dei vecchi favi è necessario un processo di estrazione che permetta la separazione della cera dal miele o dal resto delle sostanze che compongono il favo (10bozzoli e residui dell’allevamento delle larve). Questi processi si basano sulla fusione della cera a caldo e sulla sua immiscibilità con l’acqua. Uno dei sistemi più razionali e usati nei climi caldi è la sceratrice solare, una cassa vetrata nella quale la cera fonde, per azione del riscaldamento solare, e cola in una vaschetta, dove si stratifica sui residui più densi (10miele). Esistono attrezzature appositamente costruite per la fusione ed estrazione della cera (10caldaie a vapore); molti apicoltori utilizzano invece materiale non specifico, che però risponde ugualmente bene all’uso.
Le tecniche adottate devono tener conto di alcuni particolari, fondamentali per la buona qualità del materiale estratto. La cera non va mai fusa su fuoco diretto: oltre al rischio di incendio, l’elevata temperatura che si sviluppa ne determina un irreparabile danneggiamento. Con un sistema di bagnomana o aggiungendo acqua nello stesso recipiente m cui si fonde la cera, il calore della fiamma viene assorbito e riceduto m modo graduale. I recipienti non devono essere di ferro, rame o zinco in quanto reagirebbero negativamente con la cera fusa. L’acqua che entra in contatto con la cera deve essere il più possibile priva di sali per evitare la saponificazione.candele-cera Il raffreddamento deve avvenire nel modo più lento possibile, per dar tempo alla cera di decantare e separarsi completamente dalle impurità.pani ceraLa quasi totalità della cera cosi prodotta dagli apicoltori italiani finisce nuovamente negli alveari sotto forma di fogli cerei.

 

La qualità del foglio cereo è un particolare importante per la produttività dell’alveare: come primo requisito deve essere di pura cera d’api.
Cera d’api d’importazione copre le richieste nel campo cosmetico, farmaceutico e dei lucidi per mobili, pavimenti e pellami. Soprattutto in campo cosmetico e dermatologico l’impiego della cera d’api è largamente diffuso. Basti pensare al “cerato di Galeno”, un’antichissima formula di pomata protettiva per la pelle a base di cera d’api e acqua di rose, ancora oggi riportata in farmacopee internazionali. Il largo uso nei settori sopra menzionati va collegato alla capacità che la cera d’api ha di formare un film protettivo ma non occlusivo sulla superficie della pelle, oltre che alle sue doti di alta stabilità.

Propoli

 

La propoli è una resina prodotta dalle piante e che le api utilizzano all’interno dell’alveare.propoli Molto della propoli dei nostri alveari deriva dalla resina che ricopre le gemme del pioppo, ma le api possono utilizzare molte altre resine e gomme vegetali (10per esempio di conifere, betulla, ippocastano). In mancanza d’altro le api si adattano ad utilizzare alla stessa maniera anche altri materiali quali catrame, stucchi e vernici. La propoli viene trasportata nelle cestella, ma le api riescono a raccoglierla e lavorarla solo nelle ore più calde della giornata e impiegano alcune ore o giorni per liberarsi del carico. La propoli viene utilizzata all’interno dell’alveare come materiale da costruzione, eventualmente miscelato con quantità variabili di cera. Con la propoli le api stuccano tutte le fessure, compresi gli interstizi tra le parti mobili dell’alveare. La utilizzano come materiale da costruzione dove la cera pura non farebbe altrettanto buona riuscita, per esempio per restringere la porta d’entrata. Ne ricoprono le superfici interne dell’alveare, trattando allo stesso modo anche gli eventuali corpi estranei che non possono essere altrimenti eliminati.
DUE SISTEMI DI ESTRAZIONE
Fino a pochi anni fa la propoli era nota solo come quella resina appiccicosa che disturbava il lavoro dell’apicoltore, responsabile di occasionali allergie professionali, utilizzata qualche volta come componente di mastici o vernici usati in campagna. Poi ne è stato riscoperto il valore come farmaco di origine naturale e ne è cominciata la raccolta sistematica. Esistono sostanzialmente due sistemi di raccolta: la raschiatura dell’interno dei materiali utilizzati in apicoltura e la stimolazione della deposizione di propoli su superfici preparate allo scopo e dalle quali la raccolta sia più agevole e abbondante. Il primo sistema è una rielaborazione del lavoro invernale di rimessaggio delle attrezzature. Il materiale recuperato, se non è ottenuto con una tecnica mirata, rischia di contenere poca propoli e molto materiale estraneo e impurità (10cera, schegge di legno e di vernice, api). La tecnica corretta consiste nello staccare i depositi della propoli per recuperarli e gettare tutto il resto, piuttosto che recuperare tutta la raschiatura derivata dalla pulizia delle attrezzature. L’alternativa consiste nell’immettere nell’alveare, in posizione idonea, superfici forate che le api abbiano tendenza a propolizzare (10reti, griglie metalliche o di plastica), che vengono periodicamente ritirate e dalle quali, con analogo lavoro di raschiatura o con un sistema di estrazione diverso, è possibile ottenere propoli. La propoli così ottenuta deve essere conservata in camera refrigerata, per evitare lo sviluppo di tarme della cera e per prevenire il rammollimento del materiale che provocherebbe l’aggregarsi di tutta la massa in un unico blocco.
DA USARE COME UN FARMACO
Le componenti della propoli vengono in genere distinte tra quelle che fanno parte della frazione delle resine (10materiali solubili in alcol a temperatura ambiente) o delle cere (10materiali insolubili in alcol a freddo, ma solubili in etere). Queste due frazioni sono sempre presenti in proporzioni anche molto variabili tra di loro, in funzione delle modalità di deposizione della propoli nell’alveare da parte delle api e di quelle di raccolta da parte del produttore. La frazione delle cere corrisponde infatti verosimilmente alla componente di cera secreta dalle api e utilizzata nell’alveare in stretta associazione con la propoli stessa. Le sostanze più interessanti fino ad oggi identificate, quelle alle quali sono state associate alcune delle attività della propoli, fanno parte della componente resinosa. Sono composti aromatici e fenolici diversi; tra questi il gruppo dei flavonoidi, che è forse quello meglio studiato, costituisce una parte consistente dell’estratto alcolico.
La propoli è molto utilizzata in preparazioni farmaceutiche nei paesi dell’Est europeo, dai quali ci viene buona parte delle informazioni riguardo alle sue proprietà. La propoli viene usato soprattutto per le sue attività antibatteriche, antimicotiche, anestetiche, cicatrizzanti. Già queste attività rendono conto dell’efficacia in numerose patologie, ma, secondo alcuni autori, la propoli troverebbe impiego anche in malattie degenerative, tumorali e virali, nonché negli individui sani, in quanto aumenterebbe le difese immunitarie. Le sue attività antiossidanti svolgerebbero inoltre un’efficace azione protettiva antinvecchiamento. Ne è inoltre stato prospettato un impiego in agricoltura, per la difesa fitosanitaria. Tale abbondanza di indicazioni non sempre si basa su una sperimentazione sufficientemente ampia e approfondita. Molti dei dati riportati dalla letteratura scientifica internazionale necessiterebbero di ulteriori conferme. Aldilà di queste considerazioni, che tuttavia non vogliono sminuire il valore potenziale della propoli come farmaco, è necessario avvicinarsi a questo prodotto con particolare prudenza. Proprio perché dotato di attività farmacologiche potenti la propoli non deve essere utilizzata a sproposito e al di fuori del controllo medico. Dopo aver tanto criticato l’uso e l’abuso di farmaci, ricadremmo nello stesso errore semplicemente perché, in questo caso, il farmaco è di origine naturale. Un ambito però non ancora sufficientemente studiato è la relazione tra composizione e attività; nella pratica si ritrova analoga carenza nella standardizzazione dei preparati.
PIU’ DIFFUSA LA TINTURA ALCOLICA
Si trovano in commercio diversi prodotti contenenti propoli, con la finalità di renderne possibile l’uso per particolari impieghi (10pomate o lozioni per uso esterno) o per facilitarne la somministrazione e il dosaggio.
Per quelli commercializzati in Italia si tratta, nella quasi totalità dei casi, di prodotti che non hanno le caratteristiche e i requisiti dei farmaci, pur avendone le proprietà. Uno dei preparati più diffusi, per la facilità di preparazione e la versatilità d’impiego, è la tintura alcolica di propoli, che chiunque può preparare in casa, per uso personale, partendo dalla propoli grezza.
Si tratta infatti di far macerare popoli opportunamente sminuzzata, in alcol puro, a temperatura ambiente, per 15-30 giorni. La proporzione propoli/alcol può variare secondo l’uso che se ne farà: non conviene comunque alimentare eccessivamente la quantità di propoli per evitare di ottenere soluzioni difficilmente filtrabili e una non completa estrazione della componente resinosa: una parte di propoli e tre di alcol è la proporzione più spesso utilizzata.
A macerazione ultimata le impurità e la cera vengono eliminate per filtrazione su carta, per ottenere una soluzione limpida. La tintura così ottenuta può essere conservata in flacone di vetro scuro per lunghi periodi. L’intorbidamento della soluzione, che può verificarsi per l’abbassarsi della temperatura o quando questa entra in contatto con l’acqua, indica una precipitazione di sostanze, ma non ne pregiudica le caratteristiche.
 

Concorsi qualità

Il più importante concorso nazionale per i mieli di qualità, il premio “Grandi Mieli d’Italia” di Castel San Pietro, è stato istituito nel 1981 e dedicato a Giulio Piana, uno dei padri dell’apicoltura italiana. La sua storia nel corso degli anni riflette la continua evoluzione dei criteri di valutazione dei mieli.
Nel 1986 fu introdotto il metodo ideato da Michel Gonnet allo scopo di far confluire la varietà di valutazioni soggettive in una serie di criteri condivisi e confrontabili. Gonnet aveva tenuto a Finale Ligure, nel 1979, il primo corso in Italia di analisi sensoriale del miele. L’albo degli esperti in analisi sensoriale del miele nacque nel 1988, in occasione dell’ottava edizione del concorso di Castel San Pietro, collegato anche all’esigenza di formare gruppi di esperti valutatori.
Sull’esempio di Castel San Pietro sono nati in seguito tutta una serie di concorsi, qualcuno a carattere nazionale, come quello di Montalcino (10SI), altri a carattere regionale o provinciale, a Terme di Comano (10TN), Naturno (10BZ), Ghemme (10NO), Montecatini Terme (10PT), Roma, Montemarcello-Magra (10SP), Montevecchio (10Cagliari),Lecce e tanti altri. Altri concorsi sono nati, più di recente, per premiare i migliori mieli all’interno della scelta del metodo di produzione biologico, come Mielinbio a Foligno, e Biolmiel a Nicolosi (10Catania).
Solitamente, alla valutazione di tipo sensoriale che prende in esame l’aspetto visivo, tattile, gustativo e olfattivo, si possono accompagnare anche alcuni tipi di analisi di laboratorio: in particolare quella dei pollini contenuti nel miele, per confermarne il carattere monofloreale, o analisi di eventuali sostanze estranee in esso contenute, una vera e propria condizione di ammissione o meno nelle classifiche di un concorso.
I concorsi di qualità dei mieli continuano a svolgere, al di là dell’aspetto competitivo o di gratificazione, una indubbia funzione formativa sui produttori di miele, sia nell’indurli a migliorare gli aspetti di pulizia, salubrità e presentazione del prodotto, sia la loro capacità di discriminare le diverse varietà monofloreali e di entrare quindi nel mondo dei mieli anziché del miele.